Afghanistan giorno 3: Kabul dalla Moschea Blu a Chicken Street

Data: Domenica 20 aprile 2025
Itinerario: Kabul
Sommario
ToggleIl nostro terzo giorno in Afghanistan è interamente dedicato all’esplorazione della capitale, Kabul, che visiteremo in auto. La scelta di muoverci su quattro ruote, nonostante il traffico caotico della città, è dettata sia dal desiderio di ottimizzare gli spostamenti sia dalla prudenza, a nostro parere un po’ eccessiva, della guida, che preferisce evitare il più possibile situazioni potenzialmente spiacevoli.
Alcuni numeri sulla città di Kabul
Situata su un altopiano a 1.791 m sul livello del mare, Kabul si estende su una superficie di oltre 1.000 km². È la città più popolosa del Paese con i suoi 4,6 milioni di abitanti censiti nel 2021, anche se le stime più recenti parlano di una popolazione che supera i 7 milioni di persone.
Dal punto panoramico dove ci fermiamo, la nostra guida ci indica infatti la vasta baraccopoli arroccata sul fianco della collina: è lì che hanno trovato rifugio molti degli sfollati arrivati nella capitale negli ultimi quarant’anni di guerre e instabilità. Una popolazione invisibile, mai registrata ufficialmente.
Il quartiere di Zia’rat-e-Sakhi e la sua Moschea Blu
Ci dirigiamo verso il quartiere di Zia’rat-e-Sakhi, abitato principalmente dagli Hazara. Questo gruppo etnico, originario della regione montuosa dell’Afghanistan centrale nota come Hazaristan, è stato uno dei più perseguitati nella storia del Paese, anche da parte del nuovo governo subentrato nel 2021.
Tra le case che lasciano trasparire la povertà in cui vive la popolazione locale, si staglia la Moschea Blu che con quella di Mazar-i Sharif condivide solo il nome. La moschea di Kabul è infatti sciita e, grazie alla mentalità più aperta della popolazione hazara, può essere frequentata anche dalle donne. Durante i controlli di sicurezza all’ingresso, sempre distinti tra uomini e donne, ci viene però raccomandato di non parlare con le persone e di non fare fotografie con loro, in particolare con le donne.
Passeggiamo nel cortile, col naso all’insù per ammirare le maioliche che brillano sotto un cielo limpido, ma la guida ci invita ad abbassare lo sguardo per osservare le lastre di pietra sotto i nostri piedi. Si tratta di lapidi da cui i talebani hanno cancellato alcune scritte che riportavano il nome di Allah e su cui ora restano solo alcuni numeri che consentono di identificare le tombe.
Abbiamo anche il privilegio di entrare brevemente all’interno della sala di preghiera riservata alle donne.Ma l’atmosfera sacra e il timore di profanare quel luogo ci spingono a uscire quasi subito.
La spada del Profeta Ali
Ci spostiamo quindi sul retro della moschea dove si trova una fenditura tra le rocce, che secondo la leggenda sarebbe stata creata dalla spada del Profeta Ali. Si dice infatti che, in un momento di pericolo o per dimostrare la forza divina, Ali abbia colpito la montagna con la sua spada, la leggendaria Zulfiqar, raffigurata anche sulla facciata della moschea, aprendo un varco nella roccia.
Questa spaccatura è oggi considerata un luogo sacro, e attraversarla ha un valore simbolico molto forte: si dice che solo le persone pure riescano a passare indenni attraverso di essa, mentre i peccatori restano bloccati. Come i fedeli, anche noi ci sottoponiamo a questa prova che risulta più complicata del previsto.
Sulle tracce di Babur, fondatore della dinastia Moghul
In tarda mattinata raggiungiamo Bāgh-e Bābur, uno storico parco cittadino allestito intorno al 1528 da Babur, discendente diretto di Tamerlano e fondatore della dinastia Moghul in India. All’inizio del nuovo regime, il parco era stato diviso in aree separate per uomini e donne. Ora l’accesso alle donne afghane è vietato. Come turista donna, provo ancora la sensazione di essere ingiustamente una privilegiata. Attiro anche l’attenzione di uno dei responsabili dei giardini con cui ho l’opportunità di scambiare due parole sulla tipologia di alberi che crescono qui e sulla storia di questo luogo.
Passeggiamo tra viali silenziosi, fino alla Moschea di Shah Jahan, realizzata in marmo e dedicata all’imperatore Shah Jahan in occasione di una sua visita ai giardini nel 1647. L’edificio, che mostra chiare influenze dell’architettura Moghul, fu realizzato dallo stesso architetto che costruì il Taj Mahal in India.
Poco distante, c’è la tomba di Babur. L’imperatore morì ad Agra nel 1530, ma il suo corpo fu spostato qui nel 1540 per rispettare la sua volontà di essere sepolto a Kabul. La tomba è aperta verso il cielo perché Babur desiderava sentire il sole e la pioggia di Kabul anche dopo la morte. Nel complesso si trova anche l’haremserai, noto come Palazzo della Regina, che nel XIX secolo fu utilizzato dai tedeschi come sede dell’ambasciata.
Tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, il sito di Bāgh-e Bābur è stato oggetto di importanti restauri e interventi di recupero, sostenuti da organizzazioni internazionali e da un team di architetti, tra cui anche italiani.
Il museo nazionale dell’Afghanistan
Nel pomeriggio visitiamo il Museo nazionale dell’Afghanistan, fondato nel 1922. Fino a pochi anni fa ospitava una delle collezioni più ricche dell’Asia centrale, con oltre 100.000 reperti risalenti a epoche persiana, buddhista, greco-romana e islamica.
Tra il 1992 e il 1995, durante la guerra civile, oltre il 70% della collezione fu distrutta o saccheggiata. Dopo il ritorno al potere del nuovo governo nel 2021, molte delle statue e dei manufatti del periodo buddhista sono stati rimossi o nascosti, sostituiti da opere d’arte islamica.
Siamo praticamente gli unici visitatori. Una guida del museo ci accompagna attraverso sale in gran parte vuote, raccontandoci storie di reperti perduti e di oggetti recentemente restituiti da musei e collezionisti stranieri.
Flower Street, Chicken Street e una cena surreale
Nel tardo pomeriggio torniamo nei pressi della nostra guest house, per un giro tra Flower Street e Chicken Street. In quest’ultima strada si trovano infatti negozi di tappeti e antiquariato molto popolari tra i turisti stranieri.
Prima di cena, la nostra guida ci sorprende donando a ognuna di noi ragazze del gruppo un piccolo mazzo di fiori. Ci avviamo poi a piedi in un ristorante di lusso della capitale, frequentato da molti talebani che cenano con i loro AK47 appoggiati vicino alla sedia.
Gli sguardi non sono però rivolti alle armi, ma al nostro gruppo. Come spesso capiterà ancora nel corso di questo viaggio, siamo infatti gli unici occidentali e le uniche donne presenti nel ristorante.
Questo viaggio è stato organizzato da Oltre Travel.
Per maggiori informazioni consulta la pagina Instagram @oltre.travel
Autore
francescacocchi@hotmail.it
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