Afghanistan giorno 4: Da Kabul a Bamiyan lungo la “strada della morte”

Data: Lunedì 21 aprile 2025
Itinerario: Kabul – Bamiyan
Sommario
ToggleDopo aver trascorso due notti a Kabul, è arrivato il momento di rifare gli zaini e prepararci a percorrere i circa 180 chilometri di strade dissestate che ci separano da Bamiyan. Fuori dalla guest house, ci aspettano i due autisti che nei prossimi giorni ci scarrozzeranno su due jeep (tutt’altro che nuove fiammanti) attraverso le zone più rurali dell’Afghanistan, fino a Herat.
La “strada della morte”
Appena usciamo dal traffico di Kabul, già consistente nelle prime ore del mattino, ci immettiamo su quella che la nostra guida chiama “strada della morte”. Durante la guerra, quest’area fu bersaglio di bombardamenti americani che causarono decine di morti. Ai lati della carreggiata, notiamo infatti moltissimi cimiteri segnalati dalle bandiere bianche della Repubblica Islamica: lungo questa strada, quasi ogni famiglia piange almeno un parente ucciso dalle bombe.
Fino a pochi anni fa, la tratta Kabul–Bamiyan era considerata troppo pericolosa per i turisti. Oggi è percorribile, ma resta un itinerario delicato: la nostra guida si arrabbia e si preoccupa visibilmente quando due ragazzi del gruppo, che viaggiano sull’altra jeep, scendono per scattare alcune fotografie di un cimitero.
Passi innevati e dough
Il paesaggio si fa via via più montuoso. Scavalliamo un passo a oltre 3.500 metri di altitudine, tra muri di neve che fiancheggiano la strada.
Facciamo una breve tappa in mezzo al nulla: uno dei due autisti vuole acquistare del dough dal banchetto improvvisato di un allevatore. Sotto un tiepido sole, assaggiamo questa bevanda tradizionale a base di yogurt fermentato e sale, simile all’ayran turco: ha un gusto particolare e leggermente acidulo.
Mentre lo beviamo, ironizziamo sulle possibili conseguenze per il nostro intestino e scherziamo sul fatto che, con la sua fermentazione, il dough è la bevanda più alcolica che ci sarà concessa in questo viaggio.
Bamiyan e la sua provincia
Dopo l’ennesimo controllo passaporti da parte di talebani armati, entriamo nella provincia di Bamiyan e ci dirigiamo verso l’omonimo capoluogo. La città di Bamiyan, situata a circa 2.550 metri di altitudine, conta una popolazione di circa 100.000 abitanti, in prevalenza Hazara seguiti poi da Tajiki e Pashtun.
Grazie alla sua posizione strategica lungo la Via della Seta, tra il IV e il V secolo d.C. Bamiyan fu non solo un importante centro commerciale e religioso, ma anche un crocevia di culture e spiritualità: qui l’arte greca e quella buddhista si fusero in uno stile unico, noto come arte greco-buddista.
Intorno alla città si trovano diversi siti storici che testimoniano il passato culturalmente ricco di questa regione: i celebri Buddha distrutti dai talebani nel 2001, il Parco Nazionale di Band-e-Amir e le antiche città fortificate di Gholghola e Zuhak.
Carri armati sovietici e il mercato delle donne
Depositiamo gli zaini nell’albergo arroccato su una collina, ci dirigiamo ai piedi della montagna dove un tempo svettavano le grandi statue dei Buddha. In un campo lì vicino, sostiamo tra i resti arrugginiti di carri armati sovietici distrutti: testimonianze di una delle guerre che hanno segnato la storia dell’Afghanistan. La zona è oggi ben controllata dai talebani, che ci intimano di non fotografare né loro né l’area militarizzata alle loro spalle.
Ci concediamo poi una breve passeggiata nel bazar di Bamiyan, dove scopriamo una via molto particolare: qui i negozi sono gestiti esclusivamente da donne, che vendono ciabatte, sciarpe, gioielli e altri manufatti realizzati artigianalmente.
Si tratta di un progetto promosso dalle Nazioni Unite per favorire l’autonomia economica femminile nella provincia di Bamiyan che ha resistito anche al brusco cambio di governo nel 2021. Un’ulteriore testimonianza della mentalità più aperta, e talvolta in contrasto con quella talebana, del popolo Hazara.
La Valle del Drago
Lasciamo poi il centro abitato per addentrarci in un paesaggio lunare verso la Dragon Valley, conosciuta anche come Darya Ajdahar, a circa cinque chilometri a ovest di Bamiyan.
La leggenda racconta di un drago che terrorizzava la regione, divorando vergini e cammelli. Solo Ali, genero del Profeta Maometto, riuscì a sconfiggerlo con la sua leggendaria spada Zulfiqar. I resti pietrificati del drago sono oggi identificati in una formazione vulcanica di roccia, con due grandi corna e due sorgenti d’acqua che, secondo la tradizione, rappresentano le lacrime e il sangue della creatura.
Seguiamo l’esempio della nostra guida e anche noi beviamo un sorso di acqua solfurea che sgorga dalla roccia. Poi saliamo su una delle due corna del drago per scattare alcune fotografie, mentre intorno a noi bambine e bambini ci rincorrono incuriositi e ci interrogano in inglese: “What’s your name?”, “What’s your family name?”, “What’s your father’s name?”.
Una cena al freddo e un cambio di programma
Rientrati in albergo, ceniamo nel piccolo corridoio di fronte alle nostre stanze. L’edificio, privo di riscaldamento, è freddo e durante la notte non ci sarà corrente elettrica. A cena, la nostra guida ci informa di aver parlato con il capo dell’ufficio del turismo locale – un talebano armato seduto nella hall – e ci comunica che le donne non sono più autorizzate ad accedere ai laghi di Band-e-Amir.
Per aggirare questa nuova restrizione, concordiamo di svegliarci prima dell’alba, per raggiungere l’area prima che vengano attivati i posti di blocco e i controlli ufficiali della polizia religiosa.
Questo viaggio è stato organizzato da Oltre Travel.
Per maggiori informazioni consulta la pagina Instagram @oltre.travel
Autore
francescacocchi@hotmail.it
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