La persona che mi ha consigliato di leggere Houellebecq mi ha detto che “o lo si ama alla follia o lo si vorrebbe strangolare”.
Dopo aver voltato l’ultima pagina di “La carta e il territorio” posso affermare di appartenere con certezza al primo gruppo.
Quest’opera si presenta come un romanzo globale e totale attraverso il quale Houellebecq rompe con la tradizionale distinzione in generi letterari, spaziando dalla narrativa pura all’autobiografia, dal romanzo poliziesco a quello utopico.
Raccontando la vita dell’artista Jed Martin, Houellebecq riesce a offrire una visione dall’alto del mondo contemporaneo, incrociando riflessioni filosofiche ed artistiche, scientifiche ed economiche, senza rinunciare a una proiezione nel futuro che avvicina l’epilogo di quest’opera con quello de “Le particelle elementari”.
Tra i capitoli più belli e profondi ci sono, a mio parere, quelli in cui Jed dialoga con Houellebecq sul ruolo e sul valore dell’arte e sulle diverse modalità con cui pittura e scrittura possono rappresentare il mondo. E proprio da questi dialoghi scaturiscono le più ampie riflessioni sul mondo e sulla natura dell’uomo. L’arte parlando di sé, racconta il mondo.
“Anche noi siamo dei prodotti…” proseguì, “dei prodotti culturali. Anche noi verremo colpiti da obsolescenza. Il funzionamento del dispositivo è identico – a parte che non c’è di solito alcun miglioramento tecnico o funzionale evidente; rimane solo l’esigenza di novità allo stato puro.”
M. Houellebecq, La carta e il territorio