P.O.L.

E. Carrère, Yoga

La quarta di copertina dell’edizione francese P.O.L di Yoga (ed. italiana Adelphi, 2021) recita tradotta: «È un libro sullo yoga e sulla depressione, sulla meditazione e sul terrorismo, sull’aspirazione all’unità e sul disordine bipolare. Delle cose che non hanno l’aria di poter stare insieme. In realtà, possono: stanno insieme». Nei progetti iniziali di Emmanuel Carrère, nominato da La Lettura come lo scrittore del decennio, Yoga nasceva infatti come una piccolo manuale non pretenzioso sullo yoga e sulla meditazione nel quale l’autore, partendo dalla propria esperienza, voleva spiegare che dietro a questa ginnastica sempre più praticata nel mondo si nasconde un complesso insieme di discipline che mirano all’unificazione dello yin e dello yang della coscienza.

Ma la vita è imprevedibile e Carrère, dopo un periodo di felicità e stabilità durato quasi dieci anni, si trova a toccare il fondo: la morte di un amico durante gli attentati a Charlie Hebdo, la storia piena di passione con la «donna dei Gemelli», il ricovero all’ospedale psichiatrico di Sainte-Anne, la diagnosi di disturbo bipolare di tipo II e il divorzio.  Gli appunti sullo yoga si uniscono così a quelli presi durante il soggiorno presso la clinica parigina e al racconto del difficile ritorno alla vita in un libro che cerca di dare un senso a quelle tensioni contrastanti che convivono in ogni uomo.

“Un libro sullo yoga e sulla depressione…”

La prima parte del romanzo, “L’enclos”, riflette il progetto iniziale di scrivere un piccolo manuale divulgativo sullo yoga nel quale Carrère racconta aneddoti personali che diventano l’occasione per spiegare cosa sono lo yin e lo yang e cosa significhi realmente meditare e praticare discipline quali lo yoga e il tai-chi. Molti degli appunti alla base di queste pagine sono raccolti da Carrère nel corso dei suoi soggiorni presso il centro Vipassana, per dieci giorni di isolamento dedicati esclusivamente alla meditazione e alla ricerca del proprio equilibrio interiore.

Il primo di questi due soggiorni è però bruscamente interrotto da una «causa di forza maggiore», ovvero la morte dell’amico Bernard durante gli attacchi terroristici contro la sede di Charlie Hebdo. Questo episodio segna un primo stravolgimento nella vita dell’autore e nei piani del romanzo. L’atteggiamento eccessivamente distaccato con cui questa notizia viene comunicata dai responsabili del centro Viapssana costringe infatti Carrère ad ammettere che la meditazione, in alcune sue forme, rischia di allontanare l’uomo dalla realtà circostante in quanto lo porta a un’estrema chiusura in sé stesso.

Il breve capitolo “1852 jours” pone quindi fine all’intenzione iniziale di scrivere un manuale sullo yoga – che rimane comunque il fil rouge del romanzo – e segna una transizione verso la sezione “Histoire de ma follie” nella quale Carrère rielabora i precisi referti medici e i confusi ricordi relativi al suo ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Anne.

“…sull’aspirazione all’unità e sul disordine bipolare”

Anni di sedute dallo psicologo e ore trascorse a meditare non hanno purtroppo mai evitato a Carrère di avere degli alti un po’ troppo alti e dei bassi un po’ troppo bassi, segnale di quello che i medici diagnosticano come un disturbo bipolare di tipo II. Per curare questa malattia, Carrère si sottopone ad alcune sedute di elettroshock – pratica che evoca brutalità, ma che in realtà ha degli effetti benefici su questo tipo di disturbo – e inizia ad assumere regolarmente del lito; lo yoga deve lasciare il passo alla chimica.

Al difficile ricovero presso il Saint-Anne, segue il duro colpo del divorzio dalla moglie Hélène e un lungo periodo di solitudine e smarrimento durante il quale Carrère approda quasi per caso sull’isola di Lero. Sull’isola greca entra in contatto con la quotidianità dei giovani profughi che aspettano di poter entrare in Europa per iniziare una nuova vita. Il confronto con le storie di Atiq, di Hassan, degli altri ragazzi del centro Pikpa e di Erica, responsabile di un laboratorio di scrittura per i giovani profughi, diventa l’opportunità per Carrère di condividere il proprio dolore nel tentativo di dare un nuovo senso alla vita.

Je continue à ne pas mourir” è la frase che ben rappresenta lo spirito di resilienza con cui l’autore si congeda dal romanzo. Carrère, chiudendo le parentesi narrative aperte nei capitoli precedenti, offre una sorta di messaggio di speranza e dimostra che, nonostante tutto il dolore da lui affrontato, è ancora possibile continuare a vivere assaporando brevi istanti di felicità.

Quando il giogo si rompe

Il termine “yoga” deriva da una radice connessa all’italiano “giogo” e, come spiega Carrère, il ruolo dello yoga è simile a quello del giogo: mente e corpo sono infatti due cavalli imbizzarriti che lo yoga-giogo deve saper imbrigliare per fare in modo che procedano nella stessa direzione. In “Yoga” Carrère racconta cosa succede quando il giogo si rompe e la vita inizia a correre all’impazzata, senza avere una meta precisa.

Carrère racconta la sua esperienza personale, anche se, in questo caso la verità autobiografica a cui ha abituato i lettori è forzatamente alterata dalla richiesta dell’ex-moglie Hélène di non essere citata in nessuna delle sue nuove pubblicazioni. Dalle pagine del romanzo riesce però a emergere la fragilità di un uomo che ha toccato il fondo e che, nonostante tutte le difficoltà affrontate, riesce ancora a sperare nella vita, perché la gioia pura è altrettanto reale che l’ombra più oscura.

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Informazioni su Francesca Cocchi

Lettrice incallita fin da tenera età, ho trasformato i libri nella mia più grande passione. Vengo da un piccolo paesino sperduto tra i monti, amo viaggiare e sono ancora alla ricerca della mia strada. Nel frattempo, continuo a camminare facendo tappa in librerie e biblioteche per cercare libri che mi facciano compagnia.
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