Bur Rizzoli

Euripide, Alcesti (Ἄλκηστις)

Nel corso delle Grandi Dionisie, i più importanti agoni teatrali del mondo greco antico che avevano luogo ad Atene nel mese di Elafebolione (corrispondente al periodo tra fine marzo e inizio aprile), i tre tragediografi ammessi al concorso avevano l’obbligo di presentare una tetralogia, composta da tre tragedie seguite da un dramma satiresco. Quest’ultima rappresentazione, con i suoi toni comici e satireschi, si proponeva di alleggerire gli animi degli spettatori, provati moralmente dalle scene luttuose delle tre tragedie precedenti.

Il dramma satiresco poteva essere sostituito da altre tipologie di opere, purché caratterizzate da un lieto fine, come è attestato dall’Alcesti di Euripide (acquista qui), portata in scena ad Atene nel 438 a.C. quale rappresentazione conclusiva di una tetralogia che comprendeva le tragedie Le Cretesi, Alcmeone a Psofide e Telefo. L’opera ripercorre il mito di Alcesti e Admeto, il quale aveva ottenuto da Apollo la possibilità di sfuggire a Thanatos, a patto che qualcun altro morisse al suo posto. Alcesti si sacrifica per amore e muore al posto del marito, ma grazie all’inaspettato intervento di Eracle, amico di Admeto, è sottratta al regno degli inferi e restituita alla vita.

L’Alcesti, opera unica nel suo genere, è stata definita dagli studiosi come una tragicommedia o come una favola dai toni satireschi. La scelta tragica di Alcesti di abbracciare il proprio destino è infatti controbilanciata dalla figura di un Eracle ubriacone protagonista di alcune sue scene di scherzi e gozzoviglia, tipiche del dramma satiresco, e da un lieto fine che è preannunciato agli spettatori nel prologo dialogato tra Apollo e Thanatos.

La superiorità di Alcesti

Il pubblico dell’Alcesti era quindi certo del lieto fine della rappresentazione, non solo per la sua posizione all’interno della tetralogia, ma anche per le rassicuranti parole pronunciate dal dio Apollo. Il prologo dialogato tra le due divinità è però subito seguito dai drammatici metri anapestici innalzati dal coro degli anziani della città di Fere che nella parodo manifestano la loro angoscia per l’imminente morte di Alcesti ormai agonizzante. Una serva, uscita dalla dimora regale, rivela gli ultimi tragici gesti compiuti da Alcesti che, consapevole di dover morire, rivolge una preghiera a Estia, dea del focolare domestico, e saluta in lacrime il letto nuziale con il timore che questo possa presto essere posseduto da un’altra donna.

Entra poi in scena Alcesti, in fin di vita, accompagnata dal marito Admeto e dai figli. Sebbene prostrata dalla debolezza, nel suo discorso Alcesti non risparmia critiche verso gli anziani genitori di Admeto, colpevoli di non aver voluto sacrificare la loro vita per quella del figlio, e supplica il marito di non risposarsi dopo la sua morte. Alcesti si presenta come migliore donna e migliore madre, una rivendicazione che non ha nulla di narcisistico in quanto deve essere contestualizzata nell’ottica di una civiltà della vergogna nella quale il valore del singolo è riconosciuto dalla collettività.

Admeto promette di rispettare le volontà della moglie e con le sue parole, sostenuto anche dal giudizio del coro, riconosce la virtù di Alcesti e la sua superiorità. La successiva sticomitia tra marito e moglie culmina con l’improvvisa morte di Alcesti, subito compianta dalla tenera monodia del figlio Eumelo, che riconosce la sua condizione di orfano, e del coro, che esalta l’eccellenza di Alcesti, il cui valore è degno di essere cantato dai poeti.

Tra dramma satiresco e riflessioni filosofiche

La parte propriamente tragica dell’Alcesti si conclude con i versi lirici del coro e l’arrivo in scena di Eracle segna in modo netto la piega satiresca che prenderà il dramma euripideo nelle scene successive. Eracle, nel corso di uno dei suoi numerosi viaggi, giunge infatti presso la reggia di Fere listata a lutto per la recente scomparsa di Alcesti. Admeto, che è un uomo pio e rispettoso del sacro vincolo dell’ospitalità, per non causare l’allontanamento dell’illustre ospite sceglie di non rivelare a Eracle la tragica morte della moglie e di nascondergli il corteo funebre che si dirige verso la tomba.

Nella scena successiva, Euripide porta Admeto a confrontarsi con il padre Ferete, giunto presso la reggia per portare le sue condoglianze per la morte di Alcesti. Nel confronto-scontro tra padre e figlio, Admeto riflette su cosa si deve e cosa non si deve fare, un tema caro alle scuole filosofiche del tempo di Euripide, e accusa il vecchio Ferete di vigliaccheria in quanto non ha voluto né saputo sacrificare la propria vita in cambio di quella del figlio, lasciando quindi che a morire fosse la giovane Alcesti.

Chiusa la breve parentesi filosofica, l’Alcesti ritorna ai toni comici del dramma satiresco. Un servo, infatti, sorprende Eracle ubriaco e intento a gozzovigliare e, sconvolto da questo comportamento, rimprovera all’eroe di mancare di rispetto nei confronti di Admeto, che è in lutto per la morte della moglie Alcesti. Eracle scopre così il nobile inganno architettato dal padrone di casa e, commosso dal suo grande rispetto per il vincolo dell’ospitalità, decide di scendere nell’Ade e affrontare Thanatos per recuperare il corpo di Alcesti.

Nella scena finale, Eracle ritorna a Fere e presenta ad Admeto una donna misteriosa e silenziosa, chiedendogli di offrirle ospitalità. Inizialmente Admeto si rifiuta, nel rispetto di quanto promesso alla moglie, ma dopo poche battute che hanno il compito di accresce l’attesa del trepidante pubblico, Eracle rivela che la misteriosa donna è in realtà proprio Alcesti, che riprenderà la parola dopo che sarà annullata la sua consacrazione agli inferi.

A questa notizia, il coro può finalmente intonare: “Molte sono le forme del divino; molte cose gli dèi compiono contro le nostre speranze; e quello che si aspettava non si verificò, a quello che non ci si aspettava diede compimento il dio. Così terminò questo fatto.

Alcesti, il modello delle eroine tragiche euripidee

La trama dell’Alcesti rivela la complessità di un’opera, che nel contesto degli agoni teatrali non aveva certamente un ruolo di primo piano, nella quale Euripide spazia dai temi tipici della tragedia ai toni scherzosi del dramma satiresco. Carlo Diano, uno dei più grandi studiosi dell’Alcesti, ha riconosciuto in questo testo la prima attestazione di una riflessione sulla morte e di una nuova dimensione del sacrificio dettato non dai valori di una società guerriera, ma dall’amore di Alcesti per Admeto.

Occorre infine sottolineare che, nell’Alcesti, il più antico dramma di Euripide tramandato ai giorni nostri, la figura di Alcesti con la sua netta superiorità morale rispetto alla controparte maschile anticipa i tratti che saranno in seguito caratteristici di eroine tragiche quali Meda, Fedra e Ifigenia, protagoniste delle omonime tragedie euripidee.

Euripide, Alcesti
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Informazioni su Francesca Cocchi

Lettrice incallita fin da tenera età, ho trasformato i libri nella mia più grande passione. Vengo da un piccolo paesino sperduto tra i monti, amo viaggiare e sono ancora alla ricerca della mia strada. Nel frattempo, continuo a camminare facendo tappa in librerie e biblioteche per cercare libri che mi facciano compagnia.
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